Gianni Calcagno: l’uomo e la montagna

Il 22 maggio si è concluso con grande successo il ciclo di incontri “La montagna vista dal mare” organizzato dal Club Alpino Italiano Sezione Ligure. Rivolto a tutti coloro che amano la montagna e che condividono questa grande passione, sono state proposte conferenze e filmati riguardanti i molteplici aspetti del mondo della montagna: storie e testimonianze di avventure, di grandi imprese e di eroi. Ed è proprio in onore di uno di questi, Gianni Calcagno, grande alpinista accademico genovese, che è stata dedicata la serata conclusiva presso la Sala Sivori dove è stato presentato sul grande schermo il film che documenta la sua attività, a vent’anni dalla sua scomparsa avvenuta sul monte McKinley. La serata, introdotta da Victor Balestreri e Gianni Carravieri Presidente del Cai di Genova, ha affidato il ricordo di Calcagno ad alpinisti suoi cari amici e compagni di cordata.  

Indubbiamente il più grande alpinista ligure del dopoguerra, importante figura dell’alpinismo italiano e mondiale, che nella sua carriera ha conquistato cinque 8000 m, di cui quattro tra il 1984 e il 1986, Gianni comincia da giovanissimo a coltivare la sua passione per le scalate, giungendo alla notorietà nel 1968 con la prima salita invernale del Pizzo Badile, la cima più conosciuta dei monti della Val Bregaglia al confine tra l’Italia e la Svizzera. La sua vastissima attività alpinistica si è compiuta oltre che in Italia con numerose ascensioni extraeuropee. Nel 1984 intraprende la sua prima avventura su un “8000”: sale due volte la cima del Broad Peak (8047m) e negli anni successivi le vette del Gasherbrum I (8068m), Gasherbrum II (8035m) e del Nanga Parbat (8125m), fino alla sua impresa più importante, la salita al K2 (8611m). Dopo aver affrontato i grandi colossi himalayani Calcagno sposta i suoi orizzonti sulle Ande, ideali sia per salite di alto impegno alpinistico che per poter “fare scuola” e trasmettere la sua passione a gruppi di giovani che si avvicinano alla montagna. E’ il 1992 quando la sua vita finisce a 49 anni, in Alaska con il compagno Roberto Piombo, mentre stava salendo sul McKinley, che con i suoi 6194m sul livello del mare è la vetta più elevata dell’America settentrionale.

A non perdonare è il doppio volto della montagna, ambiente dove tutto, anche se non sembra, è fragile e mutevole, dove quello che sovrasta e circonda, lo stesso terreno sul quale poggiamo, può essere salvezza o morte. Questa consapevolezza è la sfida dell’alpinista che alla stregua di un asceta si porta ai limiti dell’umano alla ricerca di se stesso e di quella libertà che solo a contatto con la natura incontaminata è in grado di dare forti emozioni.  Così scrisse infatti Calcagno: “Mi son chiesto mille volte perché è tra grandi montagne che mi sento maggiormente a mio agio, perché è tra pareti vertiginose che riesco ad afferrare il senso delle cose, perché è tra vallate sconosciute che ho profonde intuizioni. Forse perché nelle regioni vergini mi si acuiscono i sensi e riesco a capire il linguaggio dei monti, a scivolare sulle ali del vento, a percepire il respiro del tempo. Forse perché, tra questi picchi sperduti, ciò che in basso sembra essenziale perde ogni importanza e le piccole cose acquistano un immenso valore. Forse perché, sulle cime più alte, mi sembra di giungere all’intuizione, un attimo luminoso in cui si cristallizza la visione della verità”.                                                                                                                                                               M.L.H.

Questo articolo è pubblicato nel quarto numero del trimestrale di informazione immobiliare FIAIP genova informa nella sezione L’angolo della cultura a cura di Enrico Haupt.

http://genova.fiaip.it/editoria/

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